Come avrete visto, questo blog si è autosospeso per quasi un mese. Per passare inosservata ho proposto la sospensione di tutti gli altri blog aperti al giugno 2002.
Scherzi a parte, c’è poco da scherzare. Dopo una campagna elettorale incentrata quasi totalmente sul problema sicurezza (sebbene l’Istat abbia rivelato che il numero dei reati è in realtà diminuito), sul terrore di violenze e stupri da parte di stranieri assetati di sangue (e anche qui va detto che la gran parte delle violenze si consuma tra le pareti domestiche), dopo tutto questo, insomma, scopriamo che il tanto atteso decreto-sicurezza conterrà un simpatico emendamento. Una piccola introduzione che come effetto avrà la sospensione anche dei processi per stupro. Domandare il perché è lecito, ma rispondere è superfluo. E tutto questo in attesa che veda la luce il lodo Schifoso bis. Ma per gettare fumo negli occhi agli elettori, ecco arrivare Tremonti che, avvolto in un mantello da supereroe e medioevale calzamaglia, ci promette che ruberà ai ricchi per donare ai poveri: la “Robin Hood tax”. Ma chi glielo dice a mia nonna che ha 86 anni e un principio di Alzheimer come si usa la social card? E poi, va bene tutto, ma la “Robin Hood tax” dovrebbe farmi digerire il decreto “Sceriffo di Nottingham”?
Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto, vi invito a leggere una moderna favoletta dell’inimitabile Camilleri, che ho avuto il piacere di intervistare due volte e vi garantisco è persona eccezionale. Eccola qua:
Il pelo, non il vizio
di Andrea Camilleri
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In Iliata ci fu un Cavaliere che, in pochi anni, accumulò una fortuna immensa. Un giorno alcuni magistrati cominciarono a interessarsi dei suoi affari. E cominciarono a piovergli addosso accuse di falso, corruzione, concussione, evasione fiscale e altro ancora. Arrivarono le prime sentenze di condanna. Il Cavaliere, attraverso i suoi giornali, le sue televisioni, i suoi deputati (aveva fondato un partito), scatenò una violenta campagna contro i magistrati che indagavano su di lui accusandoli d’esercitare una giustizia di parte. Lui stesso si definì un perseguitato politico.
Tanto fece e tanto disse che molti iliatesi gli credettero.
Poi un giorno (come capita e capiterà a tutti), morì.
Nell’aldilà venne fatto trasìre in una càmmara disadorna. C’era un tavolino malandato darrè il quale, sopra una seggia di paglia, stava assittato un omino trasandato.
«Tu sei il Cavaliere?», spiò l’omino.
«Mi consenta», fece il Cavaliere irritato per quella familiarità. «Mi dica prima di tutto chi è lei».
«Io sono il Giudice Supremo», disse a bassa voce l’omino.
«E io la ricuso!», gridò pronto il Cavaliere che aveva perso tutto il pelo, la carne, le ossa, ma non il vizio.
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