Roma, una sera d’estate. “Vieni Frank, andiamo a vedere l’incidente”. Un uomo sulla trentina trascina il suo cane al guinzaglio fino al luogo dove due macchine si sono scontrate. Il cane, Frank, non ha nessuna voglia di andare. Stava molto meglio sdraiato sul prato del parco, ma il suo padrone ha insistito e lo ha strattonato fino a quando non lo ha “convinto” ad alzarsi. La coda è bassa, il muso è tutto un programma. Nel luogo dell’incidente una macchina occupa il centro della carreggiata. Ha perso lo spoiler davanti e ha una bella ammaccatura, ma non è proprio malridotta. Dentro non c’è nessuno. L’altra auto si trova cinque metri più in là e giace sul tetto, ruote all’aria. La portiera è semiaperta, il guidatore in qualche modo è riuscito ad uscire dall’auto. La vettura della municipale è arrivata subito, due vigili in gonnella (Dio, quant’è brutta st’espressione) redigono il verbale. Qualcosa nel loro sguardo mi ricorda quello di Frank. E’ venerdì sera, è passata mezzanotte e anche loro sono state trascinate in quel luogo. E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo, no? L’ambulanza non c’è e non si vedono persone a terra. Buon segno, nessuno si è fatto male sul serio. Intanto prosegue la processione di chi ha sentito “il botto”. Si formano capannelli agli angoli dell’incrocio, mi volto e vedo persone che escono dalle case e con passo lesto si avvicinano alle macchine incidentate. Tutti bisbigliano tra loro, indicano punti con le mani, discutono sulla possibile dinamica dell’incidente, cercano con lo sguardo il fortunato con la faccia di chi ha visto tutto, qualcuno che possa confermare le proprie teorie. Tutti tranne Frank. Si è spostato il più lontano possibile, fin dove glielo consente il guinzaglio. Si è accovacciato sul marciapiede e tiene il muso tra le zampe. Ci scambiamo un rapido sguardo. Me ne torno a casa. Io posso.
venerdì 7 settembre 2007
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